37 – PERPLESSITA DELLE CURIE
Benvenuti sulla pagina che, aperta a caso da chi tentasse l’approccio da zero, gli farebbe richiudere il libro al pensiero:
“…la poesia non fa per me”
Il perché è presto detto. Non è immediata, non è facile, non gratifica al primo colpo, non appaga l’ego all’istante. E allora a che serve? Domanda ‘normale’ (!), anzi metro odierno di ogni giudizio di valore: …se non sei un surgelato o almeno un tonno in scatola, che pretese vuoi avere.
Si taglia con un grissino?
Altro boccone amaro per chi si avventurasse su questo passo a mani nude è l’assenza apparente di ‘parole difficili’ in rapporto alla effettiva difficoltà del testo. Cioè: nel complesso non si capisce un tubo, eppure conosco tutte le parole se le prendo una ad una. (Tranne forse “scisti” – tipologia di roccia, come “graniti” – termine settoriale desueto; ma l’esistenza di Wikipedia o Google ad un clic da qui rende nei fatti simili discorsi inutili).
Serratura
Effettivamente servono chiavi (di lettura) per quest’altra serratura. Come servono strategie un tantino più elaborare del cacciarsi baldanzosi nel bosco per prendere la Bestia. Qui Caproni si è divertito a confondere le acque, a sollevare fumo, a lasciare le nebbie un po’ più fitte. Perché?
Perché è divertente
Come tutte le forme di perversione divertono chi coscientemente ci gioca, così anche il verso altro non è che un gioco di parole (…se mai ve lo chiedesse un marziano) da cui l’umano trae inspiegabile beneficio psico-fisico dal suono e dal senso, godendo talvolta anche solo all’atto del decifrarle.
Fine dei preamboli, ecco il libretto di istruzioni per la decrittazione del testo.
“…Il suono lor m’è oscuro”
In linea di massima basterà scorrere i fatti e le leggende che ispirarono Caproni nella definizione della cornice allegorica dell’opera (li trovate riassunti e sistemati qui); quindi collegare le vicende del Gévaudan (regione rocciosa della Francia continentale sud-occidentale oggi detta Lozére) a quelle della nostra Lombardia, desumibili dall’Avviso storico del Conte di Kevenhüller edito nel Ducato di Milano.
Si scopre che nelle leggende di Francia arriva un bel Jaen Chastel a trucidare la Bestia e liberare le campagne dall’incubo. Grandeur d’oltralpe: minaccia, eroe vittorioso, capitalizzazione in positivo della storia con tanto di leggenda della Bestia che diventa il tema portante del marketing della comunicazione turistica della regione odierna, da dove Caproni ricevette una qualche cartolina postale con una didascalia che recitava più o meno così:
<<LA BESTIO: le terreur du pays>>
Trionfante leggenda francese contro inconcludente realtà italica: il documento milanese è autentico ma ovviamente non se ne conosce nessun seguito e nessun esito. E nessuna leggenda. (A parte un capolavoro letterario firmato Giorgio Caproni). Certo, Milano giustamente ha ben altro da offrire allo sportello del turista che la storia della Bestia…
Soluzione e riassunto del caso
Si contrappongono più o meno esplicitamente alcuni elementi allegorici a confronto. Ma il dato di fondo credo possa essere riassunto nel divario tra ansia di ‘soluzione’ (francese, letteraria, leggendaria, risolutiva, liberatoria) e smarrimento di qualsiasi traccia: l’esito tipicamente “nostro” (nel senso di tipicamente italico ma soprattutto di umanamente autentico), non solo sul piano della realtà storica ma anche sul piano della storia individuale di ciascun individuo.
Caproni sembra dire, anzi dice: “Un Jean / Chastel, qui / come può avere seme? […] Il Ducato non è / la Lozére. / Le Curie / sono perplesse”.
Questa perplessità porta domande. La principale è questa, in chiusura di verso: …i cinquanta zecchini di taglia sulla Bestia morta promessi dal Conte, potranno mai sostituire (togliere, eliminare per mettere altro al posto di quello) la passione (il patire il flagello inflitto dalla Bestia, dalla caccia; l’esperienza inflitta dal passo nella vita…). Forse, l’esperienza del flagello salva. Punto di domanda.
Per quanto l’esperienza della vita – certamente – uccida.