Etichettato: asparizione
62 – SMORZANDO
Così va il mondo. Tre giorno dopo, una pagina dopo… tutto è lontano. Il suono del mondo è smorzato. La MUSICA del libretto dissolve in uscita. L’operetta è finita. L’ultimo brano sfuma. Le ultime scintille alzate dal vento la notte, sulle creste montuose remote, le abbiamo intraviste. Qui finisce.
SMORZANDO è un modo musicale. L’orchestra suona ma scende di dinamica, in punta di piedi. Si allontana da sola dalla scena sonora. Resta fermo chi ascolta. Lei se ne va.
Allude a tutto un restante trambusto sonoro (rumore) che riguarda già altri: …altro da fare, da dire, inseguire…
Lontano si spara, si lotta, si ama… Si intuiscono altre generiche scene di caccia. Si intuiscono come? Al soffio del vento del tempo; il tempo soffia, ha un suo vento. Vento del tempo tra le foglie sonore (come nell’Infinito leopardiano).
Vento e tempo che porta.
Vento e tempo che soffia.
Vento e tempo che passa.
(…E quasi orma non lascia.)
Silenzio.
54 – CONTROCANTO
Contro-canto di Caproni al Primo Canto, forse i più famosi versi della storia della letteratura mondiale. L’incipit della Comedia di Dante, quella che la storia ci tramanda – giustamente per valore e ambientazione – come Divina; quella che qui Caproni riprende (osa!) nella sua ultima opera, riportandocela definitivamente alla sua dimensione umana.
Nel mezzo del cammin di nostra vita…
E in quanto umana, la commedia, e qui s’intende quella della vita reale del singolo, non ci mette solitamente troppo in crisi sul principio o nel mezzo del nostro cammino, o almeno non quanto piuttosto verso la fine. Semplicissima constatazione. Il controcanto parte da qui. Quello è il passo che attende, inequivocabilmente, inevitabilmente, Dante, Giorgio, me, te, chiunque. Indifferentemente. Indifferentemente da tutto. In un contesto naturale totalmente indifferente al fatto.
Chiarezza di un passo duro, oscuro.
Il passo duro, oscuro è e sarà per sempre questo e solo questo. Nell’orizzonte del cielo caproniano è notte e le stelle (che vorremmo uscire a rivedere?) non hanno acqua per la nostre sete di certezze. Sboccia qui uno dei versi più belli di tutta una vita in versi: quello che constata l’assenza di rinfresco dal duro cielo siderale, nessuna acqua stellare sull’incaglio – rappreso e impenetrabile – del nero. Come nero è il buco che lasciano le stelle.
Dopo tante latterie, la Via Lattea.
Solo un grande poeta può rendere così potente una allegoria cosmico-casearia: parlando del cosmo qui si allude al formaggio, al caglio, al destino dei latticini. Impresa impossibile per chiunque, non solo evita il ridicolo, ma lancia un sasso con una forza che esce dall’orbita di secoli di letteratura in versi.
Caseificio spaziale?!
Sulla carta così azzardato, ma nei fatti quasi scontato: a pensarci un attimo, non chiamiamo forse ‘Lattea’ la ‘Via’ che battiamo nello spazio? E (per chi la bazzica), non è forse costellata di umili latterie di quartiere (oltre che di osterie di sobborghi) la poesia di Caproni? Sì, …possiamo anche spendere una volta l’ovunque (tranne qui) abusatissimo aggettivo: geniale.
Tre passi, tre sentieri. Tre canti. Tre misteri.
Ecco dunque tre sentieri: quello storico letterario di Dante. Quello del singolo uomo contemporaneo, nell’esperienza della propria esistenza; quello del nostro sistema nello spazio siderale. Nessun punto d’incontro. Occhio: …il piede incespica.
Rispondere a Dante per le rime.
In una manciata di versi Caproni riprende Dante, lo ricostruisce, lo demolisce, lo ri-costruisce suo (nostro); e lo fa sul suo stesso cavallo di battaglia universalmente noto. Senza il minimo imbarazzo reverenziale gli risponde per le rime (come si usava ai tempi di Dante stesso: da quella usanza nasce l’espressione). E ne crea l’unico contraltare, l’unico controcanto possibile, credibile e infinitamente odierno (come l’originale), di tutta la letteratura mondiale: da Dante in poi.
Questo, zitto zitto, osa fare un umile maestro elementare.
Che non definì sé stesso mai poeta.
Ultimo appunto.
Asparizione.
Neologismo di conio caproniano dato dalla crasi di apparizione e sparizione. Ne sottolinea la simultaneità. Ci si chiede che cosa possa acquisire cadenza (termine musicale e temporale e fisico insieme, alla caducità umana), se anche l’uomo (come i simulacri di alberi e cattedrali) non è che ombra e fumo; una semplice asparizione.