Etichettato: esecuzione
09 – INVANO
Primo passo, prima resa.
L’esito di tanto euforico accanimento non lascia dubbi, a partire dal titolo.
Uno dei nostri “io” è partito di slancio: è già esausto.
Dove ha cercato fino a sfiancarsi?
Ecco i luoghi: “la rete/fitta dei campi”, “l’intrico”, la “macchia”.
Scenari iperrealistici dei luoghi caproniani.
I suoi luoghi non giurisdizionali, così, con questa formula, sovente indicati.
Luoghi tridimensionali?
Luoghi bidimensionali (…reticolati, campi, macchie)?
In ogni caso nessun segno: non la minima “traccia”.
08 – PRONTO EFFETTO
Azione. Entriamo nel vivo. L’AVVISO ha convinto tutti. Cacciatori e uomini d’arme, a quanto pare, non vedevano l’ora. Non si sono fatti pregare.
Alle parole “sangue”, “assassinio”, “uccidere” si accostano – si affrontano: una di fronte all’altra – le sapienti rime in “-ia” e “-anza”. Risuona assente una dantesca “baldanza”, nel segno arcaico del più autentico slancio. Se la Bestia fosse un animale, sarebbe presto presa.
Con questo slancio comincia ogni impresa?
Anche quella di chi compone?
Anche quella di chi nasce al mondo e vive?
Un copione fisso: …un rito liturgico?
(Etimologia greca di “liturgia”, letteralmente: “azione del popolo”)
Corriamo ad uccidere la Bestia.
07 – PERSONAGGI
Nero su bianco: qui ci sono tutti.
Si potrà cominciare.
06 – LUOGO DELL’AZIONE
In ogni dove.
05 – FONDALE DELLA STORIA
Di palchi e teatri e orchestre e melodrammi.
Dunque di cieli di carta e fondali adorni di cosa?
Il fondale della storia (…o della “Storia”?) di matrice umana: l’acciaio.
Il fondale della storia di matrice non umana (ma di segno identico): il ghiacciaio.
Fanno da sfondo. Ci accolgono. Benvenuti.
04 – AVVISO (Emidio Clementi special guest)
La voce dell’avviso del 1792 firmato Il Conte di Kevenhüller è di Emidio Clementi, una delle voci più inconfondibili e incisive della nostra letteratura recente.
A proposito di letteratura
La letteratura di Emidio Clementi è anche viva voce nelle note dei Massimo Volume, il che per molti è risaputo. Sicuramente lo è per quanti arrivino a questo sito per collegamenti musicali. Non è detto lo sia per quanti vi giungano per sentieri letterari. Sarebbe un onore e un piacere collegarli e presentarli gli uni agli altri.
Mondi a parte
Uno dei limiti atavici dell’italianità in tutti gli ambiti è il divisionismo cronico, per lo più in compartimenti perfettamente stagni. Chi si occupa di letteratura e dunque incontra e (solitamente) ama Caproni, ignora spesso l’esistenza di livelli contemporanei di espressione letteraria come quelli tracciati da Clementi e dai Massimo Volume, ad esempio, perché “di ambito musicale” (per altro orgogliosamente lontano dai salotti televisivi e quindi del tutto ignoto ai più). Allo stesso modo il pubblico dei concerti, della rete e dei vinili ignora per lo più l’esistenza di un maestro della parola e del suono della parola come Giorgio Caproni, ed ha imparato dai diversi gradi della scuola a diffidare (spesso giustamente) di tutto ciò che possa anche solo lontanamente suonare libresco in Italia. Magari è più propenso a conoscere campioni contemporanei di letterature anglosassoni. Forse anche attraverso artisti rock anglofoni che da ormai mezzo secolo glieli sdoganano sui palchi. Ma non divaghiamo. L’ideale sarebbe la fine degli “ambiti”, o che almeno si parlassero e (soprattutto) si ascoltassero.
Spudoratamente
Ecco perché riferendomi a Emidio Clementi dico letteratura recente e non aggiungo specificazioni come letteratura e musica; non a caso uso un termine solo. Come non direi “la natura e la fauna”. Letteratura è (dovrebbe essere, senza il minimo pudore) il sostantivo che raccoglie tutto, l’insieme maggiore. Letteratura è ogni traccia del passaggio di un individuo nella dimensione del tempo. Non importa se nota o segno, scritto o detto.
Tracce, segni, suoni
Questa valenza ampia del termine letteratura si va perdendo ed è sfuggente al presente: la si recupera forse proiettandola al passato o al futuro remoto. Letteratura è la gazzella sulla parete della caverna, la mia lista della spesa tra diecimila anni, un poema non scritto, il discorso sgrammaticato del politico, un tweet sul web, un canto di balene, un SMS. Il non averne coscienza non lo esime dall’essere quello che è: letteratura. Traccia di un’epoca. Genere, qualità e valenza di quel segno sono dettagli che decidiamo noi ma soprattutto deciderà il tempo. Quel che preme ora – a margine di questa operazione – è il recupero orgoglioso del valore letterario di ciò che esiste come segno: fosse anche solo suono. “Oggi” è tramandabile.
Cantami o diva
Per i miopi, i distratti e per molti degli accademici quel segno, quella traccia sta oggi solo su carta e non anche altrove (dove già stette, prima della carta). Le forme più contemporanee di letteratura vedono ovunque un guadagno di terreno di ciò che è udibile su ciò che è visibile; non che questa sia una novità sulla scena del mondo. Almeno fino a Dante e per molto tempo ancora dopo, la poesia era suono e la Musa era una.
Non di sola carta
Le narrazioni, anche le più colte, erano orali; rime e assonanze erano ganci per le memorie che le avrebbero tramandate. L’invenzione della stampa ha consegnato la parola alla carta in modo apparentemente univoco e definitivo. Ma la parola non ha mai smesso di essere voce. Oggi che la carta è in crisi il segnale è forte e chiaro. Quei segni neri sul foglio, quei semi neri di aratri sul bianco dei campi, servono ad articolare la voce umana. Il superamento parziale o totale della carta, fenomeno in corso, apre altre strade. Di queste, la presente è una: quella del verbo che torna voce. Attraverso la facilità di diffusione e di condivisione dei mezzi: l’esempio che avete sotto gli occhi.
Muro del suono
Raccolgo con orgoglio dunque l’adesione di un altro compositore di prose e versi come Emidio Clementi al battesimo di un progetto che ha l’ardire di riportare il verso del più grande poeta del nostro Novecento ad essere suono. Non solo.
Ha l’ardire estremo di affermare in chiaro che il suono può veicolare fenomeni di valenza letteraria tanto quanto la pagina e che il fatto che tali fenomeni siano poco noti non li rende aprioristicamente meno esistenti, validi o degni.
Orchestrine di musica leggera
La presente impresa non nasce da programmi universitari, da circoli accademici, dai gabinetti degli assessori.., ma dalla condivisione dei backstage e dei palchi del rock d’Italia. Nasce dagli ambienti della “musica leggera” e delle “orchestrine” (per dirla nell’assurdo gergo ufficiale ancora in uso). Lo stesso Caproni in vita fu snobbato dagli ambienti letterari ufficiali proprio in quanto voce (musicale, troppo musicale, troppo facilmente musicale, troppo difficilmente musicale) fuori dal coro. Gli si imputava sostanzialmente, di essere “troppo” sé stesso. Per questo forse, impacchettato il Novecento come un altro ferro vecchio, ci ritroviamo ad ascoltare la sua parola poetica come quanto di più complesso e vicino al nostro sentire presente e al nostro sentore di futuro.
Memento: tradire il maestro
In conclusione. Stando all’esperienza italiana, credo fermamente venuto il tempo di abbattere gli ambiti, sprovincializzare le voci, unire i mondi, dichiarare il fare letteratura senza imbarazzi, agire la cultura senza sentirsene stigmatizzati (dal momento che non lo si è sfoggiando orgogliosamente l’ignoranza e la presunzione). E’ tempo di prendere la nostra cultura e mangiarsela, bersela, farsela. Riscoprendosi orgogliosi ad esempio di lezioni di maestri quali Giorgio Caproni, che per onorare infinitamente, tradiremo sempre.
03 – CODICILLO
Ma attenzione: …da qualche parte c’è scritto ancora questo, un “codicillo” da decifrare, in corsivo e tra parentesi (chi sarà mai a lasciarlo?): “vi assista la partitura”. Insomma, fate un po’ voi. Cordialmente: arrangiatevi. Di certo il bene più caro (la paura che potrebbe salvarvi, mettendovi in guardia) nonostante tutto, non arriverà: inutile sperarla. Chi scrive (chiunque sia) non ne ha di certo.
Fine dei premaboli: il prossimo passo è l’AVVISO che darà il via alla caccia.
A chi o a che cosa, lo sapremo presto.
02 – AVVERTIMENTO
Siamo solo all’inizio e già senza guida. Il direttore freddato (fatto secco, fatto freddo) appena salito sul podio, non potrà indicarci nessuna soluzione, nessuna strada. Ci toccherà arrangiarci, fare senza. Ci toccherà aggrapparci alla partitura: almeno a quella.
Esecuzione alla partitura
Il Conte di Kevenhüller evoca ovunque l’esecuzione, comunque la si intenda: musicale o capitale. Che dire la parola sia ucciderla, questo i cultori del nostro lo sanno. Ma sanno anche bene che dare voce a personaggi (la prosopopea caproniana) reclama un fiato per quelle voci.
Ultimo spartito
Nell’ultimo Caproni l’occhio del lettore si trova al cospetto di uno spartito rigoroso dal sapore fortemente contemporaneo, in cui ogni rima, ogni assonanza, ogni allitterazione, ogni interpunzione, tono, parentesi, campo vuoto, ha un ordine e un valore espressivo e sonoro ben preciso. Una simile partitura reclama esecutori.
Caproni e la musica
L’intera Opera in versi di Giorgio Caproni, dagli esordi nel 1936, all’epilogo nel 1986, è in modi diversi affine alla musica. Si fonda sempre, pur con esiti stilisti diversi, su solide basi metriche, marcata impronta ritmica, centralità della rima: cardini che seppure diversamente modulati con esiti assai differenti, ariosi o andanti o duri, restano basilari nei diversi periodi della sua produzione.
Asperità e durezza del suolo (del suono)
Nelle tre raccolte del suo ultimo decennio di vita, la musicalità della poesia si fa quanto mai complessa, più asciutta, quasi spietata per sobrietà ed esattezza. L’ultima di queste tre raccolte, l’ultima che Caproni organizzò strutturalmente, Il Conte di Kevenhüller, è pensata e costruita come una partitura, o meglio: come la teatralizzazione dell’esecuzione di un concerto a teatro, a cominciare dalle sezioni che la compongono (Il Libretto, La Musica, addirittura le Ciarlette nel Ridotto del teatro).
Esecuzione
Questo progetto si propone di dargli voce, esecuzione. Un colpo che speriamo lo renda – come la Bestia – ancor più più vivo.
“Lais”: lasciti di Giovanni Giudici
La sua fida dupont
Una lettura di Lais (“…nel senso villoniano di lasciti” precisa l’autore); è la chiusura di Salutz (Einaudi,1986). Un piccolo omaggio a Giovanni Giudici, scomparso in questi giorni.
Da una nota dell’autore: “La dupont di Lais è una delle mie stilografiche”.
GoogleNews – La Spezia, 24-05-2011. Giovanni Giudici è morto nella notte tra il 23 e il 24 maggio a La Spezia, nell’ospedale dove era da tempo ricoverato. Avrebbe compiuto 87 anni il 24 giugno.