ARIETTA TENORILE.

Ebbene sì, a piccoli passi, in ritardo di anni, si procede in dirittura della fine.
Parlo del testo naturalmente, non sia mai.

“Io non vedo più niente”.

Testo che parla chiaro; per questo è oscuro. Io non vedo più niente. Non significa che non ci sia altro. Significa che io non lo vedo. L’io di passaggio, un altro – probabilmente l’ultimo transito d’un ennesimo transfugo vede scempio e malvagità, ingiustizia (nequizia) nei tempi e nei luoghi del mondo, nella storia (…i vili mercati d’anime, le sparatorie, come detto nella Piccola Cordigliera che apriva questa serie di fuggitivi diversi). Non più altro. Il tono del titolo tenta di stemperare l’amarezza dell’assunto.

“…Ah che tempi signora mia, che tempi!” Ah sì. Praticamente i tempi che a turno vivono tutti i viventi: esistenti, esistiti ed esisturi, almeno una volta nella vita, procedendo questa per chiunque nello stesso modo, se non erro. Quel che leniva il rigore delle tempeste non è più o non è più percepito: non più l’accoglienza allegra dell’osteria, dell’acqua-fuoco in bottiglia, l’umanità calda e leggera. L’erba verde è ormai del tutto nera.

[…] Era buio. Era sera.

Amarezza. Rimpianto, certo. Per voce tenorile (come prescrive una nota al testo), ironicamente artefatti in arietta. Dove Gozzano avrebbe ordito un dagherrotipo o una bella stampa ottocentesca, in Caproni la cornice è spesso sonora; il valore è identico.

…Dai che adesso canta!

No, nella mia esecuzione vocale non ho dato di petto e non ho composto velleitarie arie dilettose, per associare a quella di Giorgio Caproni la creatività di un ego smanioso di riflesso. Un altro al posto mio l’avrebbe fatto. Bravo. E invece guarda un po’ questo bastian contrario: la sua voce cerca sempre di sparire dietro il testo (risuonando del contesto). In questo progetto, il progetto era questo.

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