51 – INTARSIO

Non a caso ero lì. Il 17 marzo 2010, a Genova nell’atrio del Teatro della Corte, era il turno del professor Giorgio Bertone, mio ex-prof mille anni fa. Un suo intervento su Caproni nell’ambito di un ciclo di conferenze in occasione del ventennale della morte. Età dell’uditorio da geriatria e qualche sparuto studente di lettere, evidentemente sotto esame. Altri motivi per esserci, alle conferenze sui poeti, alle nostre latitudini, non se ne vedono: o si è il relatore; o si è l’assessore; o si è ottuagenari; o agli studi forzati. Io ero lì per distrarmi. Non a caso ero lì.

Ne valse la pena. Ne ricavai ben più di un’idea. Bertone commentò acutamente alcuni dei miei pezzi preferiti di Caproni, tra i quali “L’Idrometra” e questo “Intarsio”. Fu illuminante sul finale: mi era sfuggito, in questa poesia, dopo tutto quel rincorrere fantasmi per Genova, tra la darsena e i vicoli, il peso specifico centralissimo di quella finestra. Altra finestra? (…Caproni è in fissa con gli infissi: chi frequenta questa finestra del browser ormai lo sa).

Da una finestra (come all’inizio del poema “…da dietro una tendina battente” – La Lamina – la lama di luce, ma allora eravamo dentro, ora qui siamo fuori) vediamo affacciarsi chi? Proprio lui (il doppio di questa partita doppia?); un doppio che elide il suo doppio, non lo completa anzi lo sottrae; il tale che si cerca nell’arco del testo, mentre affiorano ricordi ovunque; e per un momento appena pare di vederlo, non in strada (dove lo si cerca), ma di furto, alla finestra. Non a caso era lì.

Appare rapido ma non teso, con l’occhio lasco, imbracciando un’arma desueta e fallibile (una balestra che viene detta cieca: senza alcuna capacità di vista o precisione) nell’atto di prendere la mira (una mira troppo corta). Su cosa puntava? Cosa sperava di colpire. Affacciato alla finestra come all’esistenza.

Non a caso ero lì. Il 17 marzo 2010, a Genova nell’atrio del Teatro della Corte dove Bertone evoca un dipinto del 1935 di René Magritte dal titolo “La condizione umana”. Eccola. Ed ecco un’altra finestra. Ecco gli umani affacciati all’esistenza dai riquadri degli sguardi incorniciati dei secoli: carrellate di dei e semidei scalpitanti e giocondi sorrisi beffardi di avi e personaggi, ecco l’arte che ci inquadra e ritaglia via dalla vita, la musica sulla pagina fatta a forma di finestra, ecco la scrittura, la ricerca, affacciata sul vento. Giusto quel che resta – forse – del senso.

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