15 – LA PREDA

Quando appare, quando è L’ORA, sai come agire: “Prima  / di nominarla, spara!”.
La CERTEZZA è che cadrà, se vuoi crederlo; colpita infallibilmente, la vedrai scappar via: “…nell’attimo in cui la abbatterai”. Questa Bestia “…svia / il piombo che la atterra”.

Può la consapevolezza esimerci della caccia? No. La inseguiremo ovunque ancora, colpendola sapendo di mancarla. Siamo ora esattamente brancolanti tra il fumo dei primi spari e stiamo per seguirne le “…mille contorte / tracce”.

Va detto che questa sezione della raccolta valse a Caproni qualche critica negli anni Novanta da parte di autorevoli studiosi ed estimatori dei suoi versi (il compianto prof. Croce dell’Università di Genova). Gli rimproverarono di insistere un po’ troppo su di un tema, quello della Bestia-Preda, dopo averlo dichiarato “indicibile”.

Il mio umile parere è di segno esattamente opposto. Non si evocano demoni senza poi starne alle prese, senza guardarli negli occhi. Non si solleva un tema senza sviscerarlo, faticosamente se è il caso. L’alternativa quale sarebbe: quella di un poeta che, dichiarato ineffabile l’oggetto, ci chiedesse di credergli sulla parola chiudendo la partita?

Caproni ci porta esattamente dove promette. Se questa preda si “raggira nel vacuo”, Signori: ecco il raggiro in atto, ed ecco il vacuo. A voi, nere d’inchiostro sul bianco del foglio, le “mille contorte tracce” che seguiremo accanitamente, senza risparmio, per avvicinarci alla perdita di quel che inseguono.  “Battei accanitamente, / a palmo a palmo”:  ricordate INVANO?

Eccola nero su bianco la coltre fumogena eretta dalla fiera monstruosa (la felis nebulosa: qui c’è un richiamo a Dante che inseguiva la sua “pantera odorosa” nel De Vulgari Eloquentia, intendendo con l’espressione riferirsi al mito di qualcosa che si annusa ma non si trova mai…).

Il punto è questo. I passi incerti, inutili, occorre farli. Caproni non è un autore da enunciati che non si riscontrino nei fatti. In questo tutta la sua grandezza e la sua umiltà di compositore, di facitore di versi. Si mette umilmente alla ricerca della definizione che non definirà mai, con una maestria di corto circuiti espressivi, visivi e sensoriali, straordinariamente varia.

Così in un poeta “dantesco” come Caproni, troviamo anche uno dei più abili esempi di variatio petrarchesca, intonata nel Novecento: la sua Laura è la Bestia. “Mansueta e atroce”. Quanto la si ama questa odiata. Quanto la si odia questa amata. (Quei primi versi dell’AVVERTIMENTO acquistano forse una nuova chiarezza di senso).

Siamo al cospetto di una serie di componimenti insistiti su di un solo tema in questo punto del testo; componimenti che affrontano senza imbarazzo, senza paura e senza speranza, la descrizione di un oggetto fantasmatico e molteplice, continuamente eludendolo in qualcosa di opposto a ciò che affermano (elidendo; non perdete il significato di elidere: annullare, sostituire qualcosa con la sua assenza).

Facendolo nel modo più semplice, a partire sempre dalla reiterazione insistita del soggetto a principio del capoverso (“La Bestia…”, “La Preda…”), con un ritmo battente, ricercatamente monotono (strepitosamente e sapientemente monotono, quasi primordiale! Senza dimenticare che il tema del “battere il verso” è assai caro a Caproni e gli fa amare poeti come Dino Campana); è uno dei punti più alti e memorabili della raccolta.

Ho cercato di rendere i versi che si insinuano tra le numerose parentesi (come tra un intricato fogliame) e le spezzature frequenti con inflessioni vocali più insinuate quindi più sibilinati (quasi àfone: come suggerisce il testo stesso), riservando i toni più baritonali alla presenza della Bestia-Preda che, come scopriremo, “…appare / (s’inselva) nella nostra voce”.

“Mille contorte tracce”.
Ascoltale in cuffia.

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