Categoria: I – IL LIBRETTO

“In perpetua corsa”.

Riporto qui, a distanza di tempo, come promesso, a margine de IL FLAGELLO, un passo di un ottimo articolo di Elisa Donzelli scoperto oggi per caso, che proprio oggi fa al caso mio. Ne cito una parte ringraziando infinitamente l’autrice. Ripercorre (tra le altre cose, e ne consiglio una lettura per intero) le tracce di alcune fonti all’ispirazione caproniana per l’allegoria della Bestia. La lettura è lunga ma prometto gran ristoro al fondo.

Le fonti dell’ispirazione, come è normale, saranno state in sinergia con il tema già a lui caro della caccia, le leggende del Gevaudan, l’Avviso del Conte del 1792 ecc. Qui se ne scoprono radici ancor più lontane. Legate alle prime letture e ad un episodio vivido della sua giovinezza. Giorgio Caproni ultrasettantenne rielabora, magistralmente nella sua ultima composizione, infatuazioni e riminiscenze del ventenne che fu solo ieri.

Tracce della Bestia sull’erba.

Indizi odierni del giallo. Un poeta francese amato in gioventù; un suo libretto di poesie appartenuto a Caproni ventenne; una traccia di rossetto a pagina 17; una ragazza amata e persa, morta troppo in fretta; una cerva, apparsa sull’erba; reminiscenze di un sonetto del Petrarca. Una Bestia sfuggente, sempre, unica preda degna.

Fine anni Venti: Dante in edicola.

Dall’articolo di Elisa Donzelli: “[…] Il “baco della letteratura” Caproni diceva di averlo preso alle elementari, anni di “miseria nera” durante i quali leggeva Dante in un’edizione a dispense comprata dal padre in edicola. Giovanissimo, oltre ai classici e ai contemporanei, aveva scoperto i filosofi cui si era unita la passione precoce per la poesia straniera. L’elenco sarebbe lungo ma […] spicca il nome di un poeta francese [di Arras ndr] della generazione di Ungaretti, Pierre Jean Jouve, cui in Italia non si presta grande attenzione.”

Dunque tra le prime letture del Caproni in erba, spicca il nome (piuttosto sconosciuto in Italia) di un grande poeta francese Pierre Jean Jouve.

Rete di coincidenze.

Ancora Elisa Donzelli: “Tra gli scaffali del Fondo Marconi [a Roma, ndr] è nascosto un libretto di Jouve, Per esser gai come Titania, [appartenuto a Caproni ventenne ndr] che Aldo Capasso aveva pubblicato nel 1935 traducendo alcuni dei versi più incisivi del poeta di Arras. Dico nascosto perché il profilo sottile della Collezione degli “Scrittori Nuovi” di Emiliano degli Orfini [editore ndr] (la stessa che nel 1936 avrebbe accolto, grazie a Capasso, l’esordio poetico di Caproni Come un’allegoria […]) rischia di essere messo in ombra da volumi più corposi […] di un grande autore del Novecento francese.”

Tracce di rossetto sul foglio.

“[…] Quell’edizione curata da Capasso ha qualcosa in più rispetto agli altri volumi della Biblioteca. Chi si appresta a sfogliarla troverà tra le pagine ingiallite alcuni appunti che Caproni aveva segnato a margine dei testi. Fino a qui nulla di nuovo perché i libri del Fondo Marconi si presentano proprio così: note, pensieri, versi interrotti e scritti a mano con una grafia cuneiforme. Ma nel libretto di Jouve accanto alla poesia diciassettesima, sotto la traccia sbiadita di un rossetto rosso depositato sul margine del foglio, Caproni aveva scritto a matita un appunto veloce che a tentare di rileggerlo appare più o meno così:

‘Il segno rosso è un bacio di Olga datovi a Neiron[…] in una giornata di serenità’. Perché cadde proprio in questa poesia? E per di più è 17esima (17 febbraio amandoti, 27 febbraio peggiorando, 7 marzo morta a 27 anni!)’.”

Olga bacia la pagina 17.

Di Olga Franzoni, prima fidanzata del poeta morta in Val Trebbia nel 1936, la critica ha parlato molto. A quella ragazza, da poco scomparsa, Caproni aveva dedicato la prima edizione di Come un’allegoria [1936] e l’ultima poesia di Ballo a Fontanigorda. L’episodio della sua morte l’aveva ricordato nel racconto Il gelo della mattina, iniziato nel 1937 e simile allo Jouve di Dans les années profondes del 1935.”

Per i filologi dei secoli dopo.

Parentesi. Struggente immaginare un giorno di serenità di due ventenni degli anni Trenta (chissà dove: …sull’erba?) con un libretto di un oscuro poeta francese, e lei che gli lascia (per sempre) una traccia delle sue labbra su una pagina.
Oggi quel libro è conservato a Roma, nel Fondo Marconi, per i filologi dei secolo dopo.

“Poi il nome di Olga era scomparso ma la sua ombra era tornata a vivere nei Sonetti dell’anniversario del 1942 e nei versi di E lo spazio era un fuoco entrambi ambientati in una Roma di rovine e macerie dove il rossetto di quella ragazza spargeva, in incognita, i suoi segni febbrili […]. Oggi, grazie al libretto di Jouve conservato nel Fondo Marconi, la sua immagine di ragazza-lettrice scavalca ulteriormente l’eterno femminino della tradizione lirica italiana per mostrare una nuova natura camaleontica.”

I versi della pagina 17.

“Secondo Ungaretti in Jouve “l’amore si converte in morte spaccato dal peccato” e Risi […] ha aggiunto che per salvarsi l’uomo “esteriorizza i fantasmi che lo divorano”. Lo confermano i bestiari jouviani che riesumano la cerva di Petrarca e che inscenano il passaggio di una misteriosa bestia:

“Una bestia ammirabile dalla coscia segreta
Passa sulla terra infinitamente ferita –
Piaga di sangue spumeggiante e fresco –
Esso mi trascina, lo sento, fuori della città”.

[…] La Bestia con la ‘B’ maiuscola, si sa, è uno dei grandi temi dell’ultima stagione poetica caproniana ma, rileggendo questo articolo, viene il sospetto che all’anagrafe proprio lei, “(l’ónoma) che niente arresta”, fosse stata registrata sotto il nome di Jouve.”

Cerva, Laura, Olga, Bestia.

(Non a caso un titolo simile è qui). Sottolineerei nell’illuminate passaggio, come l’autrice stessa riveli che l’anagrafe riporti ancor prima una paternità a Petrarca (…e da lui, per ignoranza mia, sicuramente a qualcun altro prima). La cerva fu già allegoria dell’apparizione di Laura (si noti tra i versi del sonetto a seguire il senal provenzale del ramo d’alloro o lauro, segno che ne scherma e rivela la presenza sulla scena). Laura che forse, oltre che donna, fu allegoria ella stessa. Se così non fosse non sarebbe giunta a noi.

Una cerva superba, libera e imprendibile. Vista per un istante. Persa per sempre. Francesco dice: io caddi in acqua e lei sparì. Ce lo racconta così.

Francesco Petrarca, dal Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta), sonetto 190
(qui un pdf del testo con traduzione inglese)
 

Una candida cerva sopra l’erba
verde m’apparve con duo corna d’oro,
fra due riviere all’ombra d’un alloro,
levando ’l sole a la stagione acerba.

Era sua vista si dolce superba
ch’ i’ lasciai per seguirla ogni lavoro,
come l’avaro che ’n cercar tesoro
con diletto l’affanno disacerba.

“Nessun mi tocchi,” al bel collo d’intorno
scritto avea di diamanti et di topazi.
“Libera farmi al mio Cesare parve.”

Et era ’l sol già vòlto al mezzo giorno,
Gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi,
Quand‘ io caddi ne l’acqua et ella sparve.

Inseguirò la mia cerva.

Perché l’ho vista sparire. Appare e scompare in tutte le vite. Se l’hai vista non puoi non lasciare per seguirla ogni lavoro. Alla luce di questo, se vi va, se non siete esausti dopo una battuta di caccia un po’ troppo lunga (…se avete avuto la forza di leggere – reggere – fino a questo punto!), riascoltiamo i versi finali della prima parte de IL FLAGELLO (41), dove appariva controluce proprio lei, subito persa eppure: sola preda degna.

“Da inseguire sempre / da inseguire ancora / fino ai laghi bianchi del silenzio”

Ma questo è Paolo Conte: …è della partita? Come no, sui titoli di coda. Verso la fine. Ci sta.

41 – IL FLAGELLO (in tre parti)

Questa scena in tre atti chiude la prima parte dell’operetta a brani che fu introdotta dalla dicitura “IL LIBRETTO”. Lo spartito prosegue riportando una nuova fitta sezione denominata “LA MUSICA”, sganciata dall’unità tematica di fondo (l’allegoria della caccia alla Bestia) ma non dai temi cardine di tutta l’Opera. Per ora è tempo di concedersi l’ascolto per intero de IL FLAGELLO. Senza aggiungere altro, per ora.

39 – LA VIPERA | 40 – LA VITA

Serpi promesse

Eccole insieme: bifide. Le due punte della stessa lingua. Una lingua che suona simile e solo in un punto trova coincidenza perfetta. Un solo verso identico (gli altri tutti in assonanza): “Per quanto sia cauto il tuo passo”. Passo come quello della gamba e del piede nella prima; nella seconda il tuo passo è quello del passaggio di te, singolo individuo, attraverso l’esperienza insidiosa dell’essere al mondo. Una esperienza micidiale, dal finale scontato.

La vita uccide

Riuscire. Come l’uscire-di-nuovo della vipera da sotto il sasso. Come la riuscita di tutto quel che attendiamo dal passo della vita. Riuscirà, riusciremo. “Ti riuscirà”. Straordinaria scelta verbale nei versi di chiusura. La vita “…ti riuscirà mortale”. Vedrai: ce la farai; ce la farà. Se l’agguato della vipera può riuscirti mortale, l’insidia della vita non lascia dubbi. Brutto da sentire la domenica mattina di una quasi primavera?

Chiudi la pagina. Respira.

E’ bella. L’insidia della vita invita.

Bello il suo flagello.

38 – IL SERPENTE

I tre lettori di questo blog sonoro avranno forse notato nel commento precedente la ricorrenza o sottolineatura di alcuni termini (non casuale come tutte le ricorrenze): serratura;porta; serpenteflagello. Epifanie.

In fissa con gli infissi

Ci si potrebbero fare tesi di laurea: ‘Infissi nella poetica di Giorgio Caproni’; Finestre, porte, portoni… Andandoli a scovare nell’arco del mezzo secolo della sua produzione se ne trovano a bizzeffe, di ogni tipo. Quanti versi costellati di finestre, cancelli, porte e portoni, che si aprono o si chiudono spesso sonoramente; serrature quotidianamente praticate come liturgie umili dell’essere al mondo; ascensori, androni e stanze che si aprono o chiudono intorno al soggetto; con i loro rumori come sentenze… Porte, portoni, serrature, soglie: passi.

L’ultima porta

In questo passo, l’io narrante ci dice che sta varcando “l’ultima porta”. L’ultima porta di che cosa? Specifica: l’ultima porta della sua voce. Varcandola, si chiede se non sia stato proporio lo scatto di una serratura (dunque un suono secco, per analogia poetica associato allo scatto di un rettile) il serpente che spaventò Tamino.

…Tamino chi?

Tamino è il bonario bamboccione protagonista del Flauto Magico, operetta mozartiana che sappiamo aleggiare ogni tanto ne “Il Conte di Kevenhüller” (debuttò a Vienna nel 1791: un anno prima dell’AVVISO, quindi perfettamente contemporanea alla cornice allegorica dei fatti). Nella prima scena della giocosa operetta allegorica e pseudo esoterica vediamo Tamino (al suo ingresso) inseguito e tramortito da un serpente. Comincia così. La storia di quel personaggio.

La vita

Comincia così la storia di chiunque? L’esistenza ti attende al primo varco sotto un sasso come un serpente che scatta sonoramente: un giro di serratura ed è fatta, ci sei, sei dentro, sei fregato: ti tocca passare. La prima porta è già l’ultima porta. Inizio e fine coincidono come battenti speculari. Chi ne entra, ne esce. Inizio e fine si elidono (come tutti i rapporti speculari nella poesia di Caproni) e ne resta ben poco.

Verso la fine del Libretto

IL SERPENTE, LA VIPERA, LA VITA e IL FLAGELLO sono i quattro passi che chiudono la sezione detta IL LIBRETTO, ossia appunto il testo organico dell’operetta a brani intitolata “Il Conte di Kevenhüller”. Poi si passa ad altro.

Nei fatti “Il Conte di Kevenhüller”  fu realmente l’ultima porta della voce di Giorgio Caproni: l’ultima sua opera strutturata. E la si avverte questa struttura, perfettamente congegnata: lo scatto di una serratura.

Siamo dentro.

37 – PERPLESSITA DELLE CURIE

Benvenuti sulla pagina che, aperta a caso da chi tentasse l’approccio da zero, gli farebbe richiudere il libro al pensiero:

“…la poesia non fa per me”

Il perché è presto detto. Non è immediata, non è facile, non gratifica al primo colpo, non appaga l’ego all’istante. E allora a che serve? Domanda ‘normale’ (!), anzi metro odierno di ogni giudizio di valore: …se non sei un surgelato o almeno un tonno in scatola, che pretese vuoi avere.

Si taglia con un grissino?

Altro boccone amaro per chi si avventurasse su questo passo a mani nude è l’assenza apparente di ‘parole difficili’ in rapporto alla effettiva difficoltà del testo. Cioè: nel complesso non si capisce un tubo, eppure conosco tutte le parole se le prendo una ad una. (Tranne forse “scisti” – tipologia di roccia, come “graniti” – termine settoriale desueto; ma l’esistenza di Wikipedia o Google ad un clic da qui rende nei fatti simili discorsi inutili).

Serratura

Effettivamente servono chiavi (di lettura) per quest’altra serratura. Come servono strategie un tantino più elaborare del cacciarsi baldanzosi nel bosco per prendere la Bestia. Qui Caproni si è divertito a confondere le acque, a sollevare fumo, a lasciare le nebbie un po’ più fitte. Perché?

Perché è divertente

Come tutte le forme di perversione divertono chi coscientemente ci gioca, così anche il verso altro non è che un gioco di parole (…se mai ve lo chiedesse un marziano) da cui l’umano trae inspiegabile beneficio psico-fisico dal suono e dal senso, godendo talvolta anche solo all’atto del decifrarle.

Fine dei preamboli, ecco il libretto di istruzioni per la decrittazione del testo.

“…Il suono lor m’è oscuro”

In linea di massima basterà scorrere i fatti e le leggende che ispirarono Caproni nella definizione della cornice allegorica dell’opera (li trovate riassunti e sistemati qui); quindi collegare le vicende del Gévaudan (regione rocciosa della Francia continentale sud-occidentale oggi detta Lozére) a quelle della nostra Lombardia, desumibili dall’Avviso storico del Conte di Kevenhüller edito nel Ducato di Milano.

Si scopre che nelle leggende di Francia arriva un bel Jaen Chastel a trucidare la Bestia e liberare le campagne dall’incubo. Grandeur d’oltralpe: minaccia, eroe vittorioso, capitalizzazione in positivo della storia con tanto di leggenda della Bestia che diventa il tema portante del marketing della comunicazione turistica della regione odierna, da dove Caproni ricevette una qualche cartolina postale con una didascalia che recitava più o meno così:

<<LA BESTIO: le terreur du pays>>

Trionfante leggenda francese contro inconcludente realtà italica: il documento milanese è autentico ma ovviamente non se ne conosce nessun seguito e nessun esito. E nessuna leggenda. (A parte un capolavoro letterario firmato Giorgio Caproni). Certo, Milano giustamente ha ben altro da offrire allo sportello del turista che la storia della Bestia…

Soluzione e riassunto del caso

Si contrappongono più o meno esplicitamente alcuni elementi allegorici a confronto. Ma il dato di fondo credo possa essere riassunto nel divario tra ansia di ‘soluzione’ (francese, letteraria, leggendaria, risolutiva, liberatoria) e smarrimento di qualsiasi traccia: l’esito tipicamente “nostro” (nel senso di tipicamente italico ma soprattutto di umanamente autentico), non solo sul piano della realtà storica ma anche sul piano della storia individuale di ciascun individuo.

Caproni sembra dire, anzi dice: “Un Jean / Chastel, qui / come può avere seme? […] Il Ducato non è / la Lozére. / Le Curie / sono perplesse”.

Questa perplessità porta domande. La principale è questa, in chiusura di verso: …i cinquanta zecchini di taglia sulla Bestia morta promessi dal Conte, potranno mai sostituire (togliere, eliminare per mettere altro al posto di quello) la passione (il patire il flagello inflitto dalla Bestia, dalla caccia; l’esperienza inflitta dal passo nella vita…). Forse, l’esperienza del flagello salva. Punto di domanda.

Per quanto l’esperienza della vita – certamente – uccida.

36 – L’ABATE

L’Abate (uno dei vari “io” protagonisti) qui specula. Lo ascoltiamo speculare sul fatto che occorra alzare il tiro in verticale. Non tra è tra il fogliame che si aggira la Bestia…

Speculare. Interessante scelta verbale: contiene la radice di specchio. Rimanda alla frase più famosa di San Paolo: “Videmus nunc per speculum et in aenigmate” (ora – qui – vediamo come attraverso ad uno specchio, in maniera confusa, distorta…). L’Abate che punta al divino colpisce chi? L’Abate deicida si suicida (“suo malgrado”). La bestia raggira. Ci si spara. E’ un enigma. E’ un dato.

35 – CONSOLAZIONE DI MAX

Il Max del titolo è il protagonista dell’opera Il franco cacciatore (Der Freischütz) di Carl Maria von Weber su libretto di Johann Friedrich Kind. Opera che già diede il titolo alla raccolta di versi del 1982 (Il franco cacciatore, Garzanti, Milano 1982).

34 – NEL PROTIRO

Al coperto dell’ingresso della cattedrale.

Si noti: non “di una“, ma “della cattedrale”: determinativo, preciso, assoluto o almeno apparentemente assoluto. La cattedrale. Sappiamo bene che per Caproni il linguaggio, la parola, non coglie la rosa, non l’afferra: ma almeno ci prova. Se volessimo trarne una lezione di stile potremmo proporre di prediligere il determinato (o la tensione alla determinazione) alla resa all’indeterminatezza vaga e vacua di troppa poesi(ol)a italiana post-leopardiana. (In Leopardi il vago e il vacuo, se e quando tirati in ballo, hanno fondamenti teorici netti e significati precisi, non sono il qualsiasi). Oh accorati poeti domenicali, approfondite l’argomento (magari addirittura leggendo qualche testo..). Nel 2012 si potrebbe anche fare.

Dal protiro della cattedrale: riparo parziale, provvisorio, al coperto ma non troppo, né dentro né fuori, ancora esposto. Tutto il discorso del testo è detto rimanendo lì, fermo.

Tutto un monte di piombo alle spalle (pesante: e dire che un tempo il peso era quello delle valigie del viaggiatore cerimonioso da spostare nel corridoio del treno).

Solo lo sguardo segue il sentiero (l’ennesimo sentiero verso confini imprecisati, luoghi non giurisdizionali, ennesimo viottolo erboso). Lo sgurado ci prova, da lì, ad andare fin dove può, fin dove non vede.

Quando l’occhio non vede. Proprio in quell’istante la Bestia passa. Stupenda la dislocazione dei due elementi che la ritraggono, scolpiti come fotogrammi rapidissimo, quasi subliminali: “Bionda. // Nera. // Senza lasciare orma.”

Si noti: non “bianca” ma: “bionda”. Intatto tutto un suo alone di fascino e attraenza. La Laura del Petrarca… La Marilyn della Pop Art.

Beatrice, Laura, Angelica, Marilyn, Bestia.

Solo ora – scrivendo – mi accorgo che la scena è ancestrale, iper-letteraria, topica. La vista del passaggio della donna sull’uscio della chiesa nella poetica stilnovista del Duecento!

Gli spiriti fuggono dal corpo attraverso i sospiri, ma… nessuna dolcezza al core. Ci si sente vili. Appare e scompare nell’attimo in cui appare. (Caproni conia altrove un neologismo verbale: asparire).

Come tutto, passa e (quasi) orma non lascia; (…grazie Giacomo, perdonami virgola e parentesi).

Nemmeno il tempo di spianare il fucile… La vita. Che vipera. Nemmeno il tempo… Sempre solo vederla e pensarla da dentro. Da dentro la Bestia. Nel protiro della vita stessa. Sempre solo vederla passare. 

Ora prova. Invano.
Riprova a pregare.

32 – LO STOICO MOLOSSO

Nota personalissima: questi quattro versi saranno per me, per tutta la vita, l’ultima immagine del mio cane: Sam. Femmina di San Bernardo. Stoico molosso. Mi ha lasciato dopo dieci anni, il 21 gennaio 2010. L’ultimo sguardo fu questo: “Negli occhi nessuna angoscia. / Solo un po’ d’apprensione.” Poi spento.

Il mio cane, che si chiamava Sam.