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I TRANSFUGHI

Personaggi in fuga, in transito. Passano. Scappano? Trapassano. Personaggi da qualche altra parte, in qualche altro dove (ammesso esista un dove). Fughe perenni, future e passate. Come gli umani: sempre in transito fugace.

RIFIUTO DELL’INVITATO.

Il primo di questi cinque testi della sezione I Transfughi, dà voce direttamente a Lui in Persona, l’Illustrissimo, il presunto o sedicente o certo Masterchef dell’Universo, il più corteggiato e ambìto degli ospiti, il concorrente Numero Uno Assoluto dei giochi a premi e quiz di tutti i tempi.

Quello che chiunque vorrebbe al proprio fianco anche solo per un ruba-mazzetto. Il complice/compagno/alleato perfetto. Il testo, ironicamente dedicato a Giorgio Devoto (…ennesimo io-giorgio degli innumerevoli apparsi?), ci riporta finalmente e fedelmente niente di meno che: la voce di Dio. In persona. Esiste più perfetta prosopopea? Invitato e strenuamente pregato, finalmente Egli risponde.

Che disdetta.

Ma accidenti: declina, non può proprio restare. Non gioca più, se ne va. Deve avere affari più importanti altrove. Però è gentile e ci spiega il perché e il percome e ci rassicura: meglio così.

E dire che sarebbe stato decisivo, decisamente decisivo. Un vero peccato. Questo cerimonioso Signore ama farsi pregare, malgrado ci preghi di non farlo, pare. Proviamo a insistere… Macché, niente da fare. Transfugo chissà dove.

(Ma “…il dove / non esiste?”. Bello perdersi in questi VERSI CONTROVERSI).

Tom Waits.

I cineasti di piglio alternativo gli affibiano per lo più la parte scontata e didascalica del satanasso (e lui, bontà sua, la fa) ma per me Dominiddio, se proprio dovessi dargli un ghigno, ha il muso e il piglio di mr. Waits.

Mio idolo assoluto. Esiste per certo, mi è apparso una volta. Dove? A Milano, Teatro degli Arcimboldi, luglio 2008. Avevo pagato caro il biglietto e ridevo come un bambino. Ma lasciamo stare. Un qualche invitato per sostituire Dio non poteva mancare. Chi meglio di lui. Non serve manco l’invito, basta il codice di YouTube.

Fuori per affari.

Lui (intendo Lui il Maiuscolissimo) c’è, per carità, ma è che ha da fare; è in fuga per qualche motivo, altrove. Un transfugo, appunto.

Mr. Waits – da buon anglosassone – lo dà in giro per affari. Caproni non si sbilancia: ci dice che gioca, beve, si annoia; cosa abbia di così impellente e irrinunciabile da fare non è dato saperlo (essendo italico direi le ferie); ci dice però che ha uno suo staffiere… Deve essere un tipo che viaggia all’antica, se la passa bene. Caproni ce lo mostra (ma guarda un po’!) indovina dove.

Sulla porta.

La porta che porta dove si è già e che (intransitiva) resta biancomurata? Proprio quella. Quanti personaggi caproniani stanno sulla porta, al portone, nell’androne, nel protiro, sull’uscio, nel corridoio dello scompartimento, ai vetri, alla finestra – che poi è una porta solo un po’ più alta.

Sono (siamo) tutti affacciati ad un riquadro-soglia spazio-temporale. Tutti lì lì per andare. Ma che Caproni sta in fissa con gli infissi è una battuta da quattro soldi che ho già speso, non la ripeterò.

Se mai dovessi ripeterla, prendetela alla leggera: è solo un gioco. Fate come dice Dio: state allegri.

Ciao cari.

Qui la partitura è talmente chiara che basta ascoltarla (per avere la certezza di non saperla comprendere affatto) e risuona nella mente un certo sparo: …quello che all’inizio dell’operetta a brani, con un colpo, fredda il direttore: “l’orchestra dovrà far senza”. Ed ecco qui – quasi a fine corsa – questo consiglio che suona imperativo, come la famigerata offerta che non puoi rifiutare. Lo riporto qui sotto, papale papale, per chiarezza cubitale.

“FATE / SENZA DI ME.”

(Parola di Dio).

Addio.

 

 

 

 

ALTRE CADENZE

Un mese di silenzio. Il giusto tempo, dopo un anno intenso. Presto daremo voce al resto del libro, che prosegue con ALTRE CADENZE e all’interno di queste, altre sezioni diverse, alcune delle quali perfettamente in cornice rispetto allo scenario dell’operetta a brani. Freddato il direttore, il concerto è andato come è andato. La partitura ci ha assistiti? Noi abbiamo assistito a lei. Ora usciamo. Dopo IL LIBRETTO e LA MUSICA si è richiuso il sipario ed è il chiacchiericcio del pubblico, attardandosi nel ridotto del teatro, ad arredare il silenzio di battute più leggere, alcune facili ironie e, com’è normale in questi casi, di Galanterie.

62 – SMORZANDO

Così va il mondo. Tre giorno dopo, una pagina dopo… tutto è lontano. Il suono del mondo è smorzato. La MUSICA del libretto dissolve in uscita. L’operetta è finita. L’ultimo brano sfuma. Le ultime scintille alzate dal vento la notte, sulle creste montuose remote, le abbiamo intraviste. Qui finisce.

SMORZANDO è un modo musicale. L’orchestra suona ma scende di dinamica, in punta di piedi. Si allontana da sola dalla scena sonora. Resta fermo chi ascolta. Lei se ne va.

Allude a tutto un restante trambusto sonoro (rumore) che riguarda già altri: …altro da fare, da dire, inseguire…

Lontano si spara, si lotta, si ama… Si intuiscono altre generiche scene di caccia. Si intuiscono come? Al soffio del vento del tempo; il tempo soffia, ha un suo vento. Vento del tempo tra le foglie sonore (come nell’Infinito leopardiano).

Vento e tempo che porta.

Vento e tempo che soffia.

Vento e tempo che passa.

(…E quasi orma non lascia.)

Silenzio.

Appunti sull’esecuzione vocale: le parentesi

Parentesi: come tradurre nell’esecuzione vocale i contenuti che stanno tra parentesi nel testo, senza confonderli con pause o cesure del verso? Ho tentato di sonorizzare quel che la partitura riporta tra parentesi attraverso un abbassamento del tono della voce, a volte confidenziale, a volte allusivo o insinuante; a volte (come in LEI) con intenzioni che avessero il sapore di quella che in gergo si direbbe una soffiata. Una rivelazione fulminea, spifferata a mezza bocca. Da credere o no.

04 – AVVISO (Emidio Clementi special guest)

La voce dell’avviso del 1792 firmato Il Conte di Kevenhüller è di Emidio Clementi, una delle voci più inconfondibili e incisive della nostra letteratura recente.

A proposito di letteratura

La letteratura di Emidio Clementi è anche viva voce nelle note dei Massimo Volume, il che per molti è risaputo. Sicuramente lo è per quanti arrivino a questo sito per collegamenti musicali. Non è detto lo sia per quanti vi giungano per sentieri letterari. Sarebbe un onore e un piacere collegarli e presentarli gli uni agli altri.

 Mondi a parte

Uno dei limiti atavici dell’italianità in tutti gli ambiti è il divisionismo cronico, per lo più in compartimenti perfettamente stagni. Chi si occupa di letteratura e dunque incontra e (solitamente) ama Caproni, ignora spesso l’esistenza di livelli contemporanei di espressione letteraria come quelli tracciati da Clementi e dai Massimo Volume, ad esempio, perché “di ambito musicale” (per altro orgogliosamente lontano dai salotti televisivi e quindi del tutto ignoto ai più). Allo stesso modo il pubblico dei concerti, della rete e dei vinili ignora per lo più l’esistenza di un maestro della parola e del suono della parola come Giorgio Caproni, ed ha imparato dai diversi gradi della scuola a diffidare (spesso giustamente) di tutto ciò che possa anche solo lontanamente suonare libresco in Italia. Magari è più propenso a conoscere campioni contemporanei di letterature anglosassoni. Forse anche attraverso artisti rock anglofoni che da ormai mezzo secolo glieli sdoganano sui palchi. Ma non divaghiamo. L’ideale sarebbe la fine degli “ambiti”, o che almeno si parlassero e (soprattutto) si ascoltassero.

 Spudoratamente

Ecco perché riferendomi a Emidio Clementi dico letteratura recente e non aggiungo specificazioni come letteratura e musica; non a caso uso un termine solo. Come non direi “la natura e la fauna”. Letteratura è (dovrebbe essere, senza il minimo pudore) il sostantivo che raccoglie tutto, l’insieme maggiore. Letteratura è ogni traccia del passaggio di un individuo nella dimensione del tempo. Non importa se nota o segno, scritto o detto.

Tracce, segni, suoni

Questa valenza ampia del termine letteratura si va perdendo ed è sfuggente al presente: la si recupera forse proiettandola al passato o al futuro remoto. Letteratura è la gazzella sulla parete della caverna, la mia lista della spesa tra diecimila anni, un poema non scritto, il discorso sgrammaticato del politico, un tweet sul web, un canto di balene, un SMS. Il non averne coscienza non lo esime dall’essere quello che è: letteratura. Traccia di un’epoca. Genere, qualità e valenza di quel segno sono dettagli che decidiamo noi ma soprattutto deciderà il tempo. Quel che preme ora – a margine di questa operazione – è il recupero orgoglioso del valore letterario di ciò che esiste come segno: fosse anche solo suono. “Oggi” è tramandabile.

 Cantami o diva

Per i miopi, i distratti e per molti degli accademici quel segno, quella traccia sta oggi solo su carta e non anche altrove (dove già stette, prima della carta). Le forme più contemporanee di letteratura vedono ovunque un guadagno di terreno di ciò che è udibile su ciò che è visibile; non che questa sia una novità sulla scena del mondo. Almeno fino a Dante e per molto tempo ancora dopo, la poesia era suono e la Musa era una.

 Non di sola carta

Le narrazioni, anche le più colte, erano orali; rime e assonanze erano ganci per le memorie che le avrebbero tramandate. L’invenzione della stampa ha consegnato la parola alla carta in modo apparentemente univoco e definitivo. Ma la parola non ha mai smesso di essere voce. Oggi che la carta è in crisi il segnale è forte e chiaro. Quei segni neri sul foglio, quei semi neri di aratri sul bianco dei campi, servono ad articolare la voce umana. Il superamento parziale o totale della carta, fenomeno in corso, apre altre strade. Di queste, la presente è una: quella del verbo che torna voce. Attraverso la facilità di diffusione e di condivisione dei mezzi: l’esempio che avete sotto gli occhi.

 Muro del suono

Raccolgo con orgoglio dunque l’adesione di un altro compositore di prose e versi come Emidio Clementi al battesimo di un progetto che ha l’ardire di riportare il verso del più grande poeta del nostro Novecento ad essere suono. Non solo.
Ha l’ardire estremo di affermare in chiaro che il suono può veicolare fenomeni di valenza letteraria tanto quanto la pagina e che il fatto che tali fenomeni siano poco noti non li rende aprioristicamente meno esistenti, validi o degni.

 Orchestrine di musica leggera

La presente impresa non nasce da programmi universitari, da circoli accademici, dai gabinetti degli assessori.., ma dalla condivisione dei backstage e dei palchi del rock d’Italia. Nasce dagli ambienti della “musica leggera” e delle “orchestrine” (per dirla nell’assurdo gergo ufficiale ancora in uso). Lo stesso Caproni in vita fu snobbato dagli ambienti letterari ufficiali proprio in quanto voce (musicale, troppo musicale, troppo facilmente musicale, troppo difficilmente musicale) fuori dal coro. Gli si imputava sostanzialmente, di essere “troppo” sé stesso. Per questo forse, impacchettato il Novecento come un altro ferro vecchio, ci ritroviamo ad ascoltare la sua parola poetica come quanto di più complesso e vicino al nostro sentire presente e al nostro sentore di futuro.

 Memento: tradire il maestro

In conclusione. Stando all’esperienza italiana, credo fermamente venuto il tempo di abbattere gli ambiti, sprovincializzare le voci, unire i mondi, dichiarare il fare letteratura senza imbarazzi, agire la cultura senza sentirsene stigmatizzati (dal momento che non lo si è sfoggiando orgogliosamente l’ignoranza e la presunzione). E’ tempo di prendere la nostra cultura e mangiarsela, bersela, farsela. Riscoprendosi orgogliosi ad esempio di lezioni di maestri quali Giorgio Caproni, che per onorare infinitamente, tradiremo sempre.

03 – CODICILLO

Ma attenzione: …da qualche parte c’è scritto ancora questo, un “codicillo” da decifrare, in corsivo e tra parentesi (chi sarà mai a lasciarlo?): “vi assista la partitura”. Insomma, fate un po’ voi. Cordialmente: arrangiatevi. Di certo il bene più caro (la paura che potrebbe salvarvi, mettendovi in guardia) nonostante tutto, non arriverà: inutile sperarla. Chi scrive (chiunque sia) non ne ha di certo.

Fine dei premaboli: il prossimo passo è l’AVVISO che darà il via alla caccia.
A chi o a che cosa, lo sapremo presto.

02 – AVVERTIMENTO

Siamo solo all’inizio e già senza guida. Il direttore freddato (fatto secco, fatto freddo) appena salito sul podio, non potrà indicarci nessuna soluzione, nessuna strada. Ci toccherà arrangiarci, fare senza. Ci toccherà aggrapparci alla partitura: almeno a quella.

Esecuzione alla partitura

Il Conte di Kevenhüller evoca ovunque l’esecuzione, comunque la si intenda: musicale o capitale. Che dire la parola sia ucciderla, questo i cultori del nostro lo sanno. Ma sanno anche bene che dare voce a personaggi (la prosopopea caproniana) reclama un fiato per quelle voci.

Ultimo spartito

Nell’ultimo Caproni l’occhio del lettore si trova al cospetto di uno spartito rigoroso dal sapore fortemente contemporaneo, in cui ogni rima, ogni assonanza, ogni allitterazione, ogni interpunzione, tono, parentesi, campo vuoto, ha un ordine e un valore espressivo e sonoro ben preciso. Una simile partitura reclama esecutori.

Caproni e la musica

L’intera Opera in versi di Giorgio Caproni, dagli esordi nel 1936, all’epilogo nel 1986, è in modi diversi affine alla musica. Si fonda sempre, pur con esiti stilisti diversi, su solide basi metriche, marcata impronta ritmica, centralità della rima: cardini che seppure diversamente modulati con esiti assai differenti, ariosi o andanti o duri, restano basilari nei diversi periodi della sua produzione.

Asperità e durezza del suolo (del suono)

Nelle tre raccolte del suo ultimo decennio di vita, la musicalità della poesia si fa quanto mai complessa, più asciutta, quasi spietata per sobrietà ed esattezza. L’ultima di queste tre raccolte, l’ultima che Caproni organizzò strutturalmente, Il Conte di Kevenhüller, è pensata e costruita come una partitura, o meglio: come la teatralizzazione dell’esecuzione di un concerto a teatro, a cominciare dalle sezioni che la compongono (Il Libretto, La Musica, addirittura le Ciarlette nel Ridotto del teatro).

Esecuzione

Questo progetto si propone di dargli voce, esecuzione. Un colpo che speriamo lo renda – come la Bestia – ancor più più vivo.

“Lais”: lasciti di Giovanni Giudici

La sua fida dupont

Una lettura di Lais (“…nel senso villoniano di lasciti” precisa l’autore); è la chiusura di Salutz (Einaudi,1986). Un piccolo omaggio a Giovanni Giudici, scomparso in questi giorni.

Da una nota dell’autore: “La dupont di Lais è una delle mie stilografiche”.

GoogleNews  – La Spezia, 24-05-2011. Giovanni Giudici è morto nella notte tra il 23 e il 24 maggio a La Spezia, nell’ospedale dove era da tempo ricoverato. Avrebbe compiuto 87 anni il 24 giugno.